Tutte le interviste di Truffaut [La chambre verte]

Perchè passare dal XIX al XX secolo adattando per lo schermo il racconto di Henry James , The Autel of the Dead

Ho scelto di trasporre nel 1928 i temi di Henry James perché li volevo direttamente in relazione con il ricordo della prima guerra mondiale. L’idea del massacro, di milioni morti non è evocata con la stessa forza dell’ultima guerra. D’altra parte non era il caso di conservare l’atmosfera del XIX secolo, perchè non volevo ritrovare la scenografia romantica di Adele H, e poi bisognava stabilire un vivido contrasto tra le scene di vita quotidiana e quella della cappella. Pensavo al lavoro di Almendros, il mio direttore della fotografia: bisognava che il contrasto dei suoi colori giocasse partendo dall’illuminazione elettrica per la vita domestica e della luce dei ceri della chiesa, che è una luce da favola, quasi irreale. Infatti nell’elaborazione della Chambre Verte ci sono più riferimenti cinematografici che letterari. Ho pensato a molti film americani degli inizi del sonoro, in particolare film dell’Universal . Non mi immaginavo neppure di utilizzare un attore tipo Bela Lugosi, ma prima di cominciare a lavorare con Jean Gruault mi sono raccontato due sceneggiature che avrebbero potuto essere lo sviluppo dei temi di James nella maniera della Universal. Nella prima c’era un uomo che ama solo i morti e uccide lentamente la donna che gli piace per poterla poi amare. Nell’altra, viceversa, una donna incontra un uomo che ama solo i morti e si lascia morire per piacergli.

Questo fa subito pensare a un film di Tod Browing, The UnKnown [Lo sconosciuto], con Long Chaney. Ma la parte centrale della Chambre Verte è una chiara evocazione del clima di certi film fantastici..

Si, comincia con la scena del temporale, la finestra che si spalanca di colpo, e prosegue con l’episodio del manichino di cera, che mi ricorda Bunuel di Ensajo de un crimen, e con la notte passata al cimitero. Queste scene di cimitero, del resto, provengono dai miei ricordi di infanzia, ma me ne sono reso conto solo al momento di girare. Mio nonno paterno faceva il marmista, lavorava molto nei cimiteri, e durante le vacanze mi portava spesso da lui. Andavo anche con la nonna, la cui famiglia aveva conosciuto molti lutti e che aveva sempre un sacco di tombe da visitare. C’era tutta una gerarchia per i suoi morti. Per esempio dedicava molto tempo alla tomba di una ragazza, morta a vent’anni. Mi ricordo che quando morì mio nonno, gli fece scivolare nella bara un paio di calzini nel caso avesse avuto freddo

Torniamo alla Chambre Verte. E’ un film sul culto della morte?Forse gli spettatoti lo sentiranno così.. O è il culto delle persone che abbiamo conosciute??

Non è il culto della morte. E’ effettivamente un’estensione dell’amore della gente che abbiamo conosciuto e non c’è più: è l’idea che questa gente continui a essere presente. Io non aderisco perfettamente al personaggio e spesso mi capita di criticarlo. E’ un mezzo pazzo con l’idea fissa, ma ciò che conta è che lui rifiuta l’oblio. Per me è importante questo rifiuto. Nel nostro mestiere, sono esterrefatto, nell’oblio nel quale è caduto Jacques Becker, anche se nella televisione continuano a dare Casque d’or . Ma neanche una trasmissione su Becker, né alla radio né alla televisione. Io attraverserei a piedi tutta Parigi per vedere Goupi mains rouge [La casa degli incubi]. Ma che fine ha fatto questo film? io sono contro l’oblio, che è una frivolezza enorme, la frivolezza dell’attualità, la frivolezza del “pariginismo”ecc.. E’ una cosa che non sopporto.

Da qui il ritratto di Cocteau nel pantheon della Chambre Verte .. ho l’impressione che per lei sia un bilancio.

Un po è vero. Nella Nuit américaine c’era l’saltazione del lavoro dei cineasti, qui c’è l’esaltazione delle persone che hanno contato. E’ un pò come una  dichiarazione d’amore. Non è deprimente, né morboso, né triste. E’ l’idea che la forza del ricordo, della fedeltà e delle idee fisse sia più forte del presente, dell’attualità. Non staccarsi dalla gente di cui non si parla più: continuare a viverci insieme, se la si ama. Io mi rifiuto di dimenticare.

Perchè ha deciso di recitare nella Chambre Verte?

Perchè è il film più intimo. Charles Denner l’avrebbe interpretato magistralmente, ma avevamo appena fatto L’uomo che amava le donne, in cui lo si vedeva continuamente… Oltre a Denner non avevo in mente altri. Mi è sembrato che, interpretando io il ruolo, avrei ottenuto la stessa differenza che, quando sbrigo la corrispondenza in ufficio, c’è  tra le lettere che detto e che poi sono battute a macchina e quelle che scrivo io a mano. Se scrivi a mano, la lettera non sarà perfetta, la scrittura forse sarà tremolante, ma sarai tu la scrittura. La macchina per scrivere è diversa. Con ciò non voglio fare un  paragone dispregiativo con gli attori, perchè ci sono le Olivetti che hanno caratteri meravigliosi, le Underwood, le Remington che hanno molta personalità, le Japy portatili … Io adoro le macchine per scrivere !!

Qual’è l’importanza del ruolo del bambino sordomuto?

E’ un’invenzione, non c’è nulla in Henry James. Avevamo una storia che funziona per ripetizioni, per accumulazioni, ma non è ricca di peripizie. Abbiamo dovuto arredare la casa, trovare personaggi secondari. Non era possibile dare all’eroe un confidente maschile, dato che ha pochissimi contatti con i vivi. L’idea del ragazzino sordomuto mi è venuta probabilmente dopo aver girato otto giorni nell’istituto per sordomuti quando facevo L‘Enfant Sauvage. Alla fine non ho preso un bambino sordomuto per questo film, avevo paura che potesse essere una tensione troppo forte per un bambino portatore di handicap, anche se ero rimasto colpito dal superadattamento di questi bambini, dalla loro rapidità a capire le situazioni e a ricostruirle. In La Chambre Verte il confidente è un pò la replica di Julien Devenne, ma per certi versi è adattato meglio di lui.

Uno dei personaggi principali del film è un morto: Massigny. E’ quello che divide i vivi: Davenne e Cècilia. Senza di lui avrebbero potuto riunirsi??

Senza di lui non ci sarebbe stato il film. La chambre verte è una favola. Massigny è il cattivo. Rappresenta tutto ciò che ci impedisce di dormire e su cui si concentra tutta la nostra aggressività. Poichè Davenne ama i morti (è anche la sua unica religione, assolutamente al di fuori del concetto di Dio) e ha con loro le stesse relazioni che aveva quando erano vivi, rifiuta la vecchia convinzione per cui la morte rende tutto uguale. Lui è capace di odiare un morto. Massigny è l’equivalente di Victor Hugo in Adele H. Come lui, invisibile, ma sempre presente. Il triangolo Devenne, Cécilia, Massigny è simile al triangolo Adéle, Pinson, Hugo. La Chambre Verte è la storia di un appuntamento mancato, di un’amore sprecato. Se Massigny no fosse esistito?? Cécilia è senz’altro più ragionevole di Davenne, ma è tentata di entrare nella sua follia. Se non si fossero separati a causa di Massigny, lei sarebbe senza dubbio diventata la guardiana del tempio. Però non avrebbe potuto riportarlo in vita: tra loro esiste un altro ostacolo, la moglie morta di Davenne.

Che emozione vuole suscitare nello spettatore con la Chambre Verte??

Immagino che certi spettatori possano avere delle resistenze all’idea di andare a vedere un film sulla morte. Ma quando un soggetto mi dà delle preoccupazioni, mi ci impegno più che se fosse senza problemi. Se non ha problemi, io me ne pongo lo stesso. Se ho paura, mi do da fare ancora di più per restare accattivante, interessante, per creare una progressione. La Chambre Verte somiglia a una specie di favola. Il finale è un lieto fine, perchè è soddisfacente  per lo spirito. Un’idea che va fino in fondo, che arriva al suo culmine è necessariamente soddisfacente per lo spirito. In L’homme qui aimait les femmes la morte di Charles Denner, che sopraggiunge mentre lui guarda le gambe di un’infermiera, è una morte che mi ha fatto piacere, perchè era talmente logico che morisse per la sua passione! E’ una storia che s’intreccia bene, una questione di armonia; cosa che ci riporta a James. L’armonia lo ossessionava, nella sua opera ne parla costantemente. Credo nell’emozione trattenuta, non nell’emozione per parossismo, ma per accumolo. Vorrei che si guardasse La Chambre Verte a bocca aperta, che si passasse di stupore in stupore e che l’emozione intervenisse solo alla fine, grazie al lirismo della musica di Jaubert. Ho cercato di svolgere un filo senza romperlo e di ottenere una linea il più possibile pura.

Quando è contemporaneamente produttore, regista e attore, quale responsabilità le pesa di più??

La più penosa è la preparazione. Fellini l’ha mostrato magnificamente in Otto e mezzo. E’ il momento in cui ci si sente un impostore, perché bisogna risolvere questioni per molte delle quali non si intravede una risposta. Durante le riprese ci si trova davanti a problemi così concreti che si può affrontarli realmente ….

Intervista tratta dal Testo: Tutte le interviste di F. Truffaut, a cura di Anne Gillain, Dialoghi Cremese Editore

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